Saranno freschi di maturità, questi quattro ragazzi che si danno di gomito mentre spiovono dal traghetto sul golfo di Olbia. Non vedono l’ora di sbarcare e spiaggiarsi a San Teodoro, si capisce da come cercano lo sguardo l’uno dell’altro, febbricitanti, da come indicano i pescatori, le banchine, gli scogli: sta andando in scena la prima vacanza senza genitori e intendono succhiarne ogni secondo. Anche i miei non ci sono – non ci sono più – ma i diciott’anni sono passati da trenta e viaggio solo, libero dal bisogno di condividere le emozioni per viverle. Mi basta perdermi nell’arancio opaco del tramonto, a pochi metri dalla loro smania e dall’attracco.

Ho scelto il traghetto così da traslocare in Sardegna il Beverly e replicare in scala 2:1 il viaggio del 2016: allora furono due settimane borghesi alla corte della Costa Smeralda, raccogliendo le briciole della sua regalità. Stavolta le settimane saranno quattro, siederò a capotavola e l’isola mi servirà tutte le portate. Tra gli innumerevoli privilegi di muovermi in scooter, c’è quello di uscire in fretta dal ventre delle navi; le due ruote hanno la precedenza su suv e camper, che ne aspettano immobili il passaggio, sicché in un minuto scivolo fuori dalla Moby Prince e dal porto. Mi sarei aspettato almeno un’occhiata al grinpas nuovo di zecca, l’estate scorsa dalla movida locale ha ripreso vigore il virus e il traghetto sta vomitando migliaia di potenziali untori. Sennonché, come alla partenza da Piombino, a Olbia manca una qualsiasi forma di controllo sui barbari in arrivo, qui il turismo è pane e companatico, che non si diffonda la notizia di una Sardegna inaccessibile ai non vaccinati.

Porto di Olbia

Sgombro il cervello dai pensieri inutili e mi sintonizzo su Google Maps, c’è da raggiungere Murta Maria ed è buio. L’uomo dal timbro baritonale, che nell’ultima release ha sostituito la voce rassicurante e vagamente sexy della precedente vestale della viabilità, mi posiziona sulla SS 125, la leggendaria Orientale sarda. Me ne hanno parlato gli amici, ne ho letto le meraviglie e ora sono io il pallino blu sul suo asfalto, si tratta solo di sporcare il silenzio e rombarci sopra il Beverly. L’uomo di Google coglie la mia euforia e la rinfocola ogni trenta secondi: tra duecento metri, alla rotonda, prosegui dritto sulla strada statale centoventicinque orientale sarda, tra un chilometro, alla rotonda, prosegui dritto sulla strada statale centoventicinque orientale sarda, tra seicento metri, alla rotonda, prosegui dritto sulla strada statale centoventicinque orientale sarda, tra cinquanta metri gira a destra, dalla strada statale centoventicinque orientale sarda a via Ciaccaldeddu. La deviazione giunge provvidenziale, un attimo prima che scagli cellulare e voce tra i lentischi. Assecondate un paio di curve, appare il cartello del B&B che mi ospiterà stanotte e, venti metri più tardi, il primo dei tanti sterrati che mi trasferiranno nelle ossa ogni malumore del suolo sardo.

Antonella di Lu Striglioni è schietta e gentile – con me lo saranno tutti quaggiù. Si scusa di non potermi servire la colazione, cosa vuole, con questo Covid in giro ci hanno imposto tante di quelle regole che portare avanti un bedembreffas è peggio di stare in caserma. Però posso usare la macchinetta del caffè e a Murta Maria ci sono un sacco di bar. E pure un bancomat, così le pago la notte, già che Antonella non accetta carte di credito e io ho abolito i contanti dalla mia vita.

Murta Maria è una striscia di casette bianche e gialle che accompagna per due chilometri l’Orientale sarda, emblema di una delle tre categorie di agglomerati urbani dell’isola, quella dell’abitato anonimo lungo la statale; le altre due sono il borgo appeso alla parete di una montagna e la cittadina che si affaccia a semicerchio su una baia. Poi ci sono Cagliari e Sassari, aliene, con le loro pretenziose aree metropolitane. In questi minuscoli centri avvolti dalla macchia mediterranea tornano a comandare i riferimenti di un’Italia postbellica, la farmacia, i carabinieri – se ci sono – la chiesa, le poste – se ci sono – l’alimentari. La modernità non è incarnata da un bosco verticale, ma da uno sportello atm che sputa soldi se schiacci i pulsanti giusti, quando funziona. L’atm di Murta Maria non funziona, è defunto come l’onomastica del paese: ingoiata la carta, si paralizza in una schermata di benvenuto che sa di presa per il culo. Prevedibilmente, i bancomat più vicini sono a Olbia, 15 km da qui e in direzione opposta alla mia traiettoria, non resta che proporre ad Antonella di bonificarle i 35 € via cellulare – vedi i vantaggi della modernità. Il bar invece la carta la accetta, divoro una brioche decongelata e mi rifiondo a Lu Striglioni, nel tentativo di erodere il discreto ritardo già accumulato sulla tabella di marcia.

Lu Striglioni

Antonella si fida, che io abbia un conto corrente e che da quel conto partano soldi verso il suo, di conto; ripete un paio di volte che le basta la mia parola, ma preferisco mostrarle l’esito positivo del trasferimento, non mi piace lasciare una sarda col dubbio che un milanese la stia infinocchiando. Garantito nella mia reputazione di gentiluomo nordico, mi immergo, finalmente, nel verde bottiglia del ginepro e del mirto, lo scooter lanciato a tutta verso sud sulla strada statale centoventicinque orientale sarda. Ora vedo ciò che ieri sera annusavo soltanto, vedo l’entroterra ondulato a destra, a sinistra il mare e Tavolara, col suo frastagliato arcobaleno di pietra: sono in Sardegna da un giorno e già penso al dolore del distacco.

Dondolo sulle curve morbide della 125 per una quarantina di chilometri mentre scorrono i nomi di paradisi violati cinque anni fa – Porto Taverna, Cala Brandinchi, Capo di Coda Cavallo; la tentazione di svoltare a ogni cartello è prepotente, ma non ho tempo per rimpatriate nostalgiche, c’è da fare la conoscenza del Supramonte. E lui si presenta: all’altezza di Posada, la 125 confluisce sulla Strada Statale 131 dcn – dcn sta per Diramazione Centrale Nuorese, in pratica un’arteria minore della Carlo Felice che unisce Cagliari a Porto Torres. Da lì si smette di lambire il Tirreno e l’ampia carreggiata punta l’interno, verso sud-ovest, dove, paziente, mi attende il gigante di Barbagia, gonfio all’orizzonte. Proseguo così, con gli occhi inchiodati alle sue guglie in avvicinamento, per circa mezz’ora; a trenta chilometri da Nuoro, saluto le due corsie della 131 e m’infilo nella SP 38, il corridoio che mi depositerà a Cala Gonone, di nuovo sull’Orientale sarda, nel frattempo staccatasi dalla 131 e riallineata alla costa. Senza dirmi nulla, la strada è salita di quota, me ne accorgo dalla visuale schiacciata, dalle piccole alture rossastre ai lati dell’asfalto, dal leggero affanno del Beverly. Il Supramonte sembra sparito, in realtà ci sono dentro.

Tavolara

Oltrepasso il Lago del Cedrino, e ancora devo violentarmi per non gettarmi nelle sue acque oliva e nuotare fino alla sorgente di Su Gologone: nel programmare il viaggio, ho pensato che una settimana tra Barbagia e Ogliastra fosse sufficiente, la verità è che non basterebbe un mese, tanti sono i tesori da scoprire. Ora l’inclinazione è forte e a Dorgali raggiunge il suo acme. Siamo soltanto a 400 metri di altitudine, eppure le costole di calcare grinzoso che circondano il paese creano una cornice quasi dolomitica e pare di arrampicarsi in Val di Fassa. Dalle case modeste di Dorgali comincia la discesa su Cala Gonone, preannunciata da una galleria: oggi non la vedrò, ma da qui ripasserò altre due volte in cinque giorni, come calamitato dall’acciaio del suo mare.

Mi sgancio dalla SP 38 e riabbraccio la 125, ignaro della bellezza che mi sta per riservare. Metro dopo metro, pur allontanandosi dall’acqua, questo tratto di Orientale sarda compone il paesaggio perfetto, almeno per chi come me sogna d’impastarsi con la natura: si diradano le auto, per lo più accampate a Cala Gonone, scompaiono le case, già rarefatte sui percorsi precedenti, l’asfalto si restringe e si mescola alla terra. Per trentatré chilometri condivido la strada col vento, aggredito a sinistra dai bastioni di roccia, sfiorato a destra da precipizi ripidi e violenti. Guido in pace nel sole gelatinoso del tardo pomeriggio, mentre in lontananza altre colonne di Supramonte s’intervallano a valli e altopiani, è uno spettacolo maestoso, che mi rimpicciolisce a comparsa inerme.