La macchina bianca targata Teramo è ferma sotto l’albero a pochi metri dalla spiaggia. È una Fiesta, con ampi avvallamenti sulla fiancata destra e una luce di posizione rotta sul retro. Mentre mi affianco per parcheggiare nell’unica macchia d’ombra dei paraggi, dentro l’auto una voce grida disperata: «Tu non lo capisci il male che mi stai facendo! Sei uno stronzo!»

Spingo lo scooter fino al finestrino abbassato e infilo lo sguardo pettegolo nell’abitacolo: una donna sui quaranta fissa il cruscotto col cellulare in mano. Appiccicati alla fronte, i capelli mezzi bianchi e mezzi neri le danno un’aria sciatta che le pozzanghere di mascara sotto gli occhi non aiutano a raffinare. Se mi ha visto, la donna non sembra turbata dalla presenza abusiva nel suo dolore. Sembra che nulla la possa turbare o scuotere o distrarre. Fissa il cruscotto, mentre acqua salata e trucco le colano sul viso.

Nel tentativo di arginare l’impudicizia della mia curiosità, abbozzo un timido interesse: «Tutto a posto?» Con lentezza robotica, la donna gira la testa e, come risvegliandosi, si sfrega gli occhi. Poi apre un sorriso sghembo e mi mostra denti grigi e irregolari. «Tutto a posto» risponde. La pelle ha le grinze del papiro, le unghie sono martoriate ma, nonostante ciò, trasmette una sua personale dolcezza. «Grazie» aggiunge, e si accende una sigaretta che non migliorerà il colore dei denti, l’elasticità della pelle e l’integrità delle unghie. Prendo coraggio: «Io sto andando in spiaggia, ci vado tranquillo, sì?» «Tranquillo» dice. La lucidità con cui mi rassicura spegne ogni preoccupazione.

Foce del fiume Piomba

Mezz’ora dopo, rimestata a bracciate l’acqua densa dell’Adriatico, ebbro di sole e sazio di panino alla porchetta, torno allo scooter e ritrovo la donna: nella stessa macchina, sotto lo stesso albero, la sigaretta tra le dita. «Come va?» «Meglio, grazie!» Ancora un sorriso storto, ma ora c’è luce negli occhi pasticciati dal mascara. Deve aver passato il tempo a fumare, incurante della maschera da pagliaccio che indossa con patetica dignità. Mi aggrappo a quella luce nuova.

«Cos’è successo?»

«Niente, è che sono stupida.»

«C’entra lo stronzo?»

«Eh, sì, che poi non è neanche così stronzo. Sono io che sbaglio sempre uomo.»

«È sposato, vero?»

«È sposato ma si sta separando, sono tre anni che si sta separando.»

«Fammi indovinare, è più grande.»

«Ma come fai? Vabbè sì, ha quasi cinquant’anni.»

«Quindi una ventina più di te», la lusingo.

«Stavolta non c’hai preso, ne ho quarantadue, però grazie, sei gentile. L’ho capito appena ti ho visto che sei una persona gentile.» La mia condanna, la gentilezza. «E tu, cosa ti porta al Piomba?» chiede.

«È la mia spiaggia segreta da trentacinque anni», rispondo, «almeno lo era prima di vederla abbandonata e malconcia com’è ora.»

«Sì, la stanno rovinando ‘sta zona, io ci vengo quando stacco dal centro commerciale, sai quello di Città Sant’Angelo. Qualche volta anche di domenica, come oggi. Mi piace perché non c’è mai nessuno. Comunque, io sono Mara.»

Nel presentarsi, Mara allunga una mano appassita, esibendo le unghie masticate durante le telefonate con lo stronzo. «E io sono Andrea.»

Sorride convinta ora, non so se per gratitudine o perché la gentilezza si sta trasformando in fascino: il fascino selvatico dei cinquantenni che ne dimostrano quarantotto, armati di scooter, asciugamano vintage e parole dolci. Mara non è brutta, ma l’approssimazione dei lineamenti e la scarsa manutenzione generale inibiscono qualsiasi attrazione che non sia caritatevole. Per evitare che la conversazione prenda un’inutile piega seduttiva, riporto l’attenzione sulle confidenze sentimentali, confortato dall’esserci scambiati i nomi.

«Non vale la pena soffrire per uno sposato, meriti di meglio.» Questa l’ho detta bene, tanto bene che Mara si appoggia al finestrino con un’espressione equivoca. Il finestrino finora ha funzionato da filtro, confine fisico, censura di eventuali, imbarazzanti sviluppi nella comunicazione.

«Ecco» sospira, sempre più vicina. «Trovassi uno come te, Corrado lo manderei a quel paese in un secondo.» Che faccio, glielo dico che anch’io sono sposato e che so essere parecchio, ma parecchio stronzo?