Atterro all’Arco della Pace alle 8.43 antimeridiane e mi ritrovo di colpo ostaggio di edsciran ululanti dalla dubbia sessualità, maledettissime emiuainaus avvinte alla nuova luivitton e urticanti fristail con più o meno quattro centimetri quadri di pelle sgombri da istogrammi: tutti smaniosi di sfoggiare la propria arte con la A stramaiuscola e, dunque, tutti a ugole spiegate e moleste. Dopo sette ore di karaoke, buona parte sotto il laser di un sole subsahariano, alle 3.43 postmeridiane un’efficientissima e algida trentenne mi sequestra per il provino di XFactor, ponendo fine alla sanguinosa Via Crucis. In silenzio, disidratato e con un principio di sdoppiamento della vista, vengo trascinato nell’atrio della saletta casting. Prima di me ci sono tre Ligabue, due Marilyn Manson e cinque Adèle, ho il tempo di rassettare il look finto casual, un ibrido tra Springsteen e Ricky Cunningham, studiato per accalappiare l’eventuale selezionatrice milf in grado di apprezzare l’articolo, stagionato ma ancora appetitoso.

Arco della Pace

È il mio turno, niente milf: si materializza un omino sui quaranta di razza caucasica, la cui totale indifferenza al mio fascino mi obbliga a puntare sulla musica. Attacco il mio brano di punta, quello di denuncia, quello sull’Italia; interrotto al minuto 1 e 22, passo a un brano inedito, emozionale e intimista, dal titolo accattivante, Pèntiti Arlecchino; interrotto al minuto 1 e 18, vengo interrogato sulle cover anglosassoni. Sono prontissimo su tutto il programma e sciorino One e Space Oddity compresse in due minuti scarsi, oltraggio imperdonabile a Bono e Bowie. Con un cenno secco della mano, l’omino recide l’esibizione: «Grazie, puoi andare, aspetta fuori», e mi verrà rivelata la Verità!

La verità ha la voce metallica e le fattezze lignee della trentenne che sovrintende ai provini, ed è crudele nella sua banalità: se sono andato bene, mi chiameranno entro il 30 giugno, dal 1 luglio l’oblio. La giovanetta si raccomanda di ricordarmi il numero di iscrizione. Tranquilla, vista la tortura patita l’ho tatuato sul braccio, ma il riferimento non può coglierlo, perché a scuola l’anno è finito senza che le spiegassero la seconda guerra mondiale e per lei il Giorno della Memoria è il primo apericena dopo l’estate, quando rivede i selfie di Mikonos con le altre trentenni efficientissime. Aggiunge che devo ricordarmi anche di come sono vestito oggi: ragazza mia, maglietta petrolio da guappo e jeans antracite saranno il mio pigiama per il prossimo mese e mezzo.

Ma perché stamattina non sono andato al cantiere sotto casa a commentare i lavori insieme ai miei coetanei?